lunedì 31 dicembre 2012

Pensiero Capodanno 2013

Per certi versi, questa è la mia giornata. E’ connaturato al mio modo di essere guardare sempre avanti, a ciò che viene dopo, fare progetti, avere obiettivi a lungo termine, ed è questo innegabilmente il giorno in cui ci si pone davanti al futuro visto come un’altra grande avventura fatta di nuovi 365 giorni. Si fanno progetti, ci si arma di buone intenzioni e in un certo senso ci si pasce in quell’idea tanto vaga quanto affascinante di una nuova possibilità che ci attende: lo sappiamo tutti, domani non faremo che svegliarci tardi con lo stomaco un po’ guastato e osservare un giorno che ci appare esattamente uguale al precedente, solo un po’ più corto. Ma forse è la prospettiva ad ingannarci: nella confusione del nostro pensiero focalizziamo solo quegli eventi straordinari che il nuovo anno dovrà portare con sé, momenti indimenticabili da annotare di lì a dodici mesi dopo, finendo così per sopravvivere inghiottiti dalla routine quotidiana mentre in attesa del brivido successivo. Il 2013 sarà l’anno dei miei vent’anni e se c’è un proposito con cui voglio iniziarlo è quello di vivere giorno per giorno, cercando (se non di trovare) perlomeno di chiedermi sempre i motivi per cui posso ritenermi fortunata. Continuando a fare il massimo, persistendo nella mia determinazione ma con la consapevolezza che il fatto stesso di aver la forza di continuare a credere e a sperare è già di per sé un dono meraviglioso. Questo è l’augurio che faccio a me stessa e a tutti voi. Buon anno!

martedì 25 dicembre 2012

"Vieni, nasci ancora"




Ieri sera per la prima volta dopo tanto tempo ho davvero guardato quel bambino. L’ ho osservato nella sua immobilità, nelle sue braccia aperte da sempre, nei suoi occhi fissi. Taceva, ma tutto intorno parlava per lui: la mia voce, le nostre voci, cantando compivano l’annuncio dei profeti, ognuno di noi si è presentato davanti alla grotta, pastore di se stesso, spogliato di tutte le sue convinzioni. Tutte le luci hanno allora brillato più nitide e forti, rese potenti da loro essere nient’altro che tanti gioiosi annunci di un unico evento.

Quel bambino è il destino che ci viene a prendere proprio quando si inizia a non crederci più, è l'emozione che guida quando la ragione comincia a vacillare, è la semplicità che irrompe nella difficoltà della vita quotidiana, è la forza della verità che rende liberi, il mistero che ci rende meno uomini. Buon Natale!

                                                                                                            Irene



Torni Signore, torni nel cuore 
col tuo silenzio denso di te.
E come i pastori un tempo 
ora noi ti adoriamo, 
e i nostri doni sono ciò che siamo noi.

Eri la luce, venivi nel mondo,
venivi tra i tuoi e i tuoi però 
loro non ti hanno accolto.
Ma noi ti invochiamo: vieni!
Ma noi ti vogliamo accanto,
la nostra casa è tua, t'accoglieremo noi.

E Tu che ritorni, tu che rinasci 
dove c'è amore e carità qui sei presente.
Tu per davvero vieni, tu per davvero nasci,
noi siamo uniti nel tuo nome e tu sei qui.

Vieni nasci ancora dentro l'anima,
vieni nasci sempre, 
nasci in mezzo a noi.
Per le strade luci, 
feste e musiche, 
ma Betlemme è qui!  (Daniele Ricci)

giovedì 20 settembre 2012

Lourdes 2012: Qui è come una seconda casa



E’ sempre una sfida provare a raccontare la settimana trascorsa a Lourdes, per la diversità degli stati d’animo con cui ciascuno dei partecipanti vive questa avventura, ma soprattutto per l’ unicità delle sensazioni provate, tanto intime e private da risultare quasi ineffabili. Alla partenza, il 22 luglio, ci siamo accorti con facilità che stava avvenendo un grande cambio generazionale: molti dei partecipanti  infatti andavano a Lourdes per la prima volta. Proprio l’età e l’esperienza hanno determinato la divisione del lavoro durante la settimana: i maggiorenni che lo desideravano hanno potuto fare servizio alle piscine, mentre gli altri hanno prestato servizio in ospedale o portato carrozzine, ma la peculiarità del “campo” si è dimostrata anche quest’ anno nella costante condivisione di ciò che si è vissuto durante le giornate, nei momenti di riunione serali.
Questo nostro settimo anno di servizio ha dimostrato con chiarezza una cosa: Lourdes sa parlare al cuore di ognuno di noi. Pur nella nostra diversità infatti, credo che nessuno possa dire di essere tornato a casa esattamente identico a com’è partito, perché tutti noi ci siamo accostati, ognuno a modo proprio, a quella grotta e ne abbiamo ricavato un periodo di silenzio per capire cosa fare della nostra vita, un momento di avvicinamento alla fede, un’occasione di ritrovo nella gioia, un tempo in cui mettersi in gioco. A differenza degli anni passati, in alcuni giorni il lavoro è venuto a mancare e nel gruppo è serpeggiata una delusione comprensibile, condivisibile, ma ripensando a quei momenti ora possiamo realizzare come siano stati utili perché ci hanno dato l’opportunità di prenderci un istante e guardarci dentro, stringere nuove amicizie o migliorarsi sempre più in attesa della prossima occasione di dare concretamente una mano: anche per tale motivo si può dire che quei cinque giorni effettivi trascorsi a servizio, siano stati in quest’ edizione, giorni (anche) al servizio di noi stessi. Giorni in cui interrogarci sulla provocazione che Don Piero ci ha lanciato ad inizio settimana donandoci un ciondolo con metà volto di Gesù e dicendoci: “trovate l’ altra metà di questo volto durante giorni che vivrete qui”: osservando la grande e meravigliosa eterogeneità della nostra comitiva, abbiamo realizzato che Dio quest’ anno si è fatto prossimo non solo mostrandosi nei malati che abbiamo incontrato ma anche unendo al nostro gruppo Sara Matteo e Francesca, i piccoli, che ci hanno arricchiti con il loro entusiasmo e la loro spontaneità, e nonna Giannina che grazie all’ avvicendarsi dei ragazzi ha potuto condividere con noi ogni momento, persino la Via Crucis affrontata sotto il caldo sole del pomeriggio.

E’ stato questo uno dei momenti, guidati da Padre Giancarlo, che ci hanno fatto approfondire il tema “Ave Maria”, l’ ultimo del triennio iniziato con il “Segno della croce” (2010) e “Padre Nostro” (2011): una riflessione sulla preghiera del Rosario, che risulta per noi al tempo stesso semplice e complessa nel suo richiedere concentrazione e silenzio “interiore”. E proprio mettendo in atto quanto appreso, provando a pregare con animo nuovo davanti alla grotta, alcuni di noi hanno sperimentato le emozioni per loro più vive e hanno visto sorgere le riflessioni per loro più intense. Lourdes è il luogo della luce, un bagliore apparso 154 anni ma che risplende ancora oggi: la luce si rifrange in mille angoli e diventa il lume dei flambeaux, la commozione negli occhi dei pellegrini accolti alle piscine, i sorrisi degli anziani accompagnati all’ adorazione, le candele che prolungano le preghiere di vicini e lontani. Ognuno dei pellegrini che vivono Lourdes diventa specchio in cui si riflette tale bagliore e contribuisce alla sua diffusione: venire qui è capire cosa veramente può voler dire essere “luce del mondo”. Il silenzio in cui ci si immerge non dà risposte ma in esso si può cercare di scoprire, confermare, verificare, fondare ciò che si prova e davanti alla grotta, di là dal Gave dove Bernadette a detto l’ ultimo addio al “suo cielo”, si può chiedere il dono della pazienza per attendere, della pace per accettare, della semplicità e dell’ umiltà per realizzare di non poter capire ma soprattutto la grazia di continuare a crescere insieme, nell’ attesa di tornare. Una delle cose di cui siamo più grati infatti è avere un posto dove andare e scoprire sempre di più noi stessi: ogni anno, all' arrivo a Lourdes, si prova la sensazione di recuperare una parte di noi che, durante il passare dei mesi, non è mai riuscita ad abbandonare del tutto la grotta. Così non si è potuto far altro che contemplarla da lontano, immersi nei mille altri pensieri della vita quotidiana, attendendo di poter ritornare ai piedi dei Pirenei e completarsi, aggiungendo anche quest' ultimo tassello mancate.
Come si dice “Home is where the heart is” e Lourdes si configura quindi sempre più come una seconda casa, una sorgente di affetti profondi e sinceri, un banco di prova con cui misurarsi, una fonte da cui attingere forza per continuare aldilà dei dubbi e delle difficoltà, una prova da cui si esce stanchi nel fisico ma molto più uniti nello spirito.
In occasione della grande messa internazione dei giovani, abbiamo avuto l’ occasione di suonare e cantare insieme e il senso del brano scelto è ciò che ci portiamo a casa, la convinzione che soprattutto quando le nostre strade  diventano “vuote e silenziose, deserte e sconosciute” Dio può “illuminare” il nostro cammino e sussurrarci “no non avere paura, se nel buio il tuo cuore un giorno perderai, io verrò da te, come un padre ti dirò: coraggio sono io”.
 

Irene Bertelloni

venerdì 10 agosto 2012

San Lorenzo (Capitolo I)


Sdraiata su un telo di nylon Alice fissava con occhi corrucciati e sguardo vigile la volta stellata della notte di San Lorenzo. Quella sera il cielo era talmente terso e sgombro di nubi che, proprio al suo mezzo, era perfino rischiarato dalla scia luminosa di un braccio della via lattea. “Come posso fare”, pensava Alice, “per avere più possibilità di vedere una stella cadente? Devo scegliere un punto di riferimento, concentrarmi su uno stralcio di cielo e attendere che sia attraversato da una cometa, oppure vagare con lo sguardo velocemente e sperare di avere fortuna? Se decido di osservare solo un piccolo gruppo di stelle corro il rischio di perdere l’ attimo e potrò solamente sentire gli altri dire “Eccola! L’ ho vista” ma quando avrò voltato lo sguardo la scia si sarà già spenta e a me resterà solo la meraviglia sul volto degli amici che mi sono accanto”. La riflessione era conciliata ad Alice dal clima speciale di quella notte: amava vivere in montagna, certo avrebbe cambiato alcune cose della sua vita, ma certamente non avrebbe barattato per nulla al mondo la possibilità di scostare le tende della sua camera e poter vedere la luce del sole illuminare le dolomiti.  La sua amata, isolata, silenziosa vita di montagna le concedeva poi serate come questa, in cui la completa assenza di illuminazioni artificiali, permetteva di immergersi in un buio così completo da fare paura: dal prato in cui era distesa poteva scorgere solo la croce del campanile della chiesa di  San Giacomo, tutte il resto del paese restava nascosto sotto, ingoiato nella vallata. Solo d’ estate le capitava di poter restare per così tanto tempo fuori di notte, e anche quella sera, pur essendo agosto,  aveva dovuto coprirsi bene per sopportare il fresco e la guazza notturne, così per qualche istante si perse ad osservare quel paesaggio noto ma reso irriconoscibile dall’ insolita atmosfera. “Le comete! Me ne sono dimenticata di nuovo…Basta, ora farò più attenzione” ma mentre si proponeva, fermamente, di vedere una stella cadente pensò “Se anche riuscissi a vedere una stella cometa, non avrei affatto idea di cosa chiedere, non ho un desiderio pungente, non ho qualcosa che vorrei assolutamente cambiare né qualcosa che vorrei profondamente avere, potrei forse chiedere di volere qualcosa” ma riflettendoci sopra si rese conto di quanto fosse triste e immaturo e ozioso “voler volere”, avrebbe certamente preferito essere animata da una grande passione, sentire il suo cuore battere per un emozione tale che non si sarebbe dovuta cercarla perché diventasse desiderio ma essa stessa, sarebbe apparsa come l’ unico desiderio possibile.


                                                                                                             (Continua...)











lunedì 11 giugno 2012

Ultimo giorno di Liceo

Ho sempre immaginato il mio ultimo giorno di scuola superiore come un momento speciale, certamente fuori dall'ordinario. Gioioso e al tempo stesso malinconico, perché si vede chiudersi una parte importante della nostra vita, un tempo che non tornerà più. Come tutti sapete oggi ciò non è stato possibile perché cose ben più gravi sono successe. Ho deciso comunque di pubblicare un pensiero annotato da me qualche mese fà in attesa di questo giorno:

"Scrivo queste righe che ritengo doverose volutamente prima dell' inizio degli esami per evitare che questa mia riflessione possa essere influenzata dall'esito della maturità, qualunque esso sia. Ho amato e amo la mia scuola e sono stata di giorno in giorno sempre più contenta di averla scelta. Mi ha dato tanto e io ho cercato di fare lo stesso: vi ho conosciuto grandi persone, compagni e professori, che mi hanno capita, incoraggiata, arricchita come studente e come persona. Una scuola dura, intensa, severa ma al tempo stesso bellissima e tutte le amicizie che ho stretto in questo percorso sono così forti anche perché sono basate sulla condivisione di gioie e dolori che si sono intervallati in questi cinque anni. Grazie a tutti e in bocca al lupo."

                                                                                                       Massa, 9 giugno 2012

mercoledì 21 marzo 2012

Facebook: quando anche amare diventa di moda


C’ è un momento nella giornata di ognuno di noi, in cui si ripensa a tutto ciò che si è detto, fatto, provato, qualche secondo di silenzio in cui i pensieri affiorano dalla confusione della nostra testa e li vediamo, davanti a noi. Proviamo per un attimo ad immaginare di poter fare questo stesso viaggio pensando non ad una giornata, ma alla nostra intera vita; allora saremmo in grado di valutare quali istanti siano stati davvero impagabili, irripetibili e quali invece abbiano perso il loro valore dimostrandosi falsi o sciocchi ma saremo in grado di fare ciò solo se avremmo dato alle nostre emozioni un giusto nome e saremmo riusciti a capire come esprimerle. Nasce da questo l’ idea di fare una riflessione sulle parole, sul loro significato profondo e poi non tanto soggettivo. Chiunque sia iscritto a Facebook o abbia un rapporto con il mondo giovanile potrà facilmente sentire  ragazze della nostra età chiamarsi “amore” e dirsi senza troppa difficoltà ne imbarazzo “ti amo!”, questo fatto, lo confesso, mi ha sempre lasciato un po’ stupita, certo ognuno dà alle parole un valore soggettivo e sicuramente qualcuno potrebbe obbiettare che questa parola, dal significato così forte, venga usata per esprimere un sentimento maggiore dell’ amicizia…Ma siamo sicuri non ci siano alternative? Credo che ciò che muove in questa “direzione” sia quella pigrizia letteraria che  porta tanti di noi a non usare i congiuntivi, a parlare con abbreviazioni, a rispondere a monosillabi. Ma stavolta stiamo andando a toccare un tema molto delicato. E’ anche grazie alle parole che possiamo esprimere i nostri sentimenti più profondi, sono le parole che ci permettono di far prendere valore al silenzio, sono le grandi parole che hanno reso famoso il nostro paese, le culture e la letterature di ogni tempo sono pervase dall’ amore, sentimento capace di svelare fragilità anche dei grandi personaggi della storia,  che diventano così più umani e più vicini a noi, da Dante a Hikmet, da Saffo alla Fallaci; l’ amore si fa verso, canto, rabbia, pianto, lotta.
Lasciare che esca, come qualsiasi altra parola,  dalla nostra bocca è  svuotarla della sua magia senza attendere l’ attimo in cui pronunciarla ci renderebbe per sempre partecipi della sua immortalità.
                                                                               

venerdì 17 febbraio 2012

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione. (Gabriele D' Annunzio)


Commento
L' occasione per la composizione di questa poesia è offerta da un evento inatteso: il poeta è sorpreso, mentre si trova in una pineta, da uno scrocio di pioggia. D'Annunzio, tramite l' enigmatica figura di Ermione, introduce il lettore in un paesaggio che appare tanto realistico (per la minuziosa descrizione delle piante presenti) quanto trasfigurato. Fondamentale nella creazione di quest' atmosfera surreale è la struttura sintattica: vi è la netta prevalenza della paratassi per asintoto, la quale, insieme all' anafora di "e", dà l' idea dell' avvicendarsi serrato delle percezioni sensoriali ed emotive. I numerosi enjambement conferiscono musicalità e velocità al componimento che è caratterizzato da un linguaggio di registro medio, impreziosito da latinismi come "aulenti, silvani, cinerino", e spezzato in brevi ed incisive frasi. Da notare l' uso di figure retoriche tipiche del decadentismo come l' onomatopea "crociare" o le frequenti similitudini. Sono proprio questi numerosi paragoni "volto ebro...come una foglia, chiome...come le chiare ginestre, occhi...come palle, denti...come mandorl" e le più rare metafore "pino, mirto, stromenti sotto innumerevoli dita" a favorire la fusione uomo - natura. Nella poesia infatti trova la sua massima espressione il "panismo", presente già in altre poesie di D' Annunzio, e la metamorfosi dei due protagonisti avviene tramite la pioggi: prima essa baglia le loro mani e  loro visi, poi la sua continua caduta, espressa dall' anafora del verbo "piove", arriva a renderli creature "d' arborea vita viventi". Ammonendo Ermione a tacere e ascoltare, il poeta contemporaneamente ne descrive la trasfigurazione: essa è "quasi fatta virente" tanto è immersa nella natura. I due, attori e al tempo stesso spettatori di questa magia, avanzano insieme "or congiunti or disciolti" verso quell' ignoto assoluto ("chi sa dove! chi sa dove!") che i decadenti tanto cercavano. Le loro identità sono unite dal  "verde vigor rude", che sale sulle loro gambe, e dalla pioggia che fonde i loro corpi così come i loro spiriti. Il componimento si chiude ripentendo un gruppo di versi iniziali, quelli che più chiaramente esprimono l' effetto della pioggia estiva: ciò è segno che il poeta ha osservato il paesaggio, lo ha filtrato con la sua sensibilità e lo ha offerto al lettore. Ma dopo il viaggio ideale verso l' ignoto non gli resta che tornare alla "favola bella", fatta disillusioni e di speranze, da cui lui e Ermione sono partiti. 






Ovviamente tutto ciò è  una mia liberissima (e quindi opinabilissima) interpretazione.

domenica 12 febbraio 2012

A scuola di responsabilità: incontro con Don Luigi Ciotti

Nella mattinata di mercoledì 8 febbraio presso l’ aula magna del liceo classico “P. Rossi” Don Luigi Ciotti ha incontrato gli studenti dell’ istituto, in occasione della settimana di lezioni alternative. Il fondatore di Libera ha preso spunto per il suo intervento da alcune provocazioni che gli sono state poste da tre alunne ed ha esordito in modo particolare, invitando gli ascoltatori a “cancellare” per qualche istante la parola “mafia” dalla loro mente, in modo da potersi guardare attorno e capire come il problema della legalità non riguardi solo certe regioni d’ Italia ma tutto il nostro paese. Animato da un trasporto indicibile, Don Luigi ha parlato per quasi due ore, è riuscito a catturare e mantenere l’ attenzione dei presenti  portando esempi concreti, come le storie di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Rita Atria ma anche presentando con forza i principi alla base dello stato, quei valori che Libera vuole difendere. Giustizia e dignità umana: sono questi i punti fondanti della società civile, ma questi non possono esistere se non c’ è la responsabilità “spina dorsale del nostro paese”. Rispondendo alle domande Don Luigi si è soffermato soprattutto sul tema dell’ “educazione alla legalità democratica”, ha più volte ribadito che “la legalità è lo strumento, il mezzo per arrivare al fine, la giustizia” e ha insistito sul fatto che tutti noi cittadini, non possiamo chiedere allo stato di fare la sua parte nella lotta alla mafia se prima ognuno non riflette sulla propria condotta. Il suo intervento ha profondamente coinvolto i giovani ascoltatori per il suo taglio storico, pragmatico e sociale. Non è mancato però un momento in cui, sollecitato da una specifica domanda, Don Ciotti ha parlato anche del suo essere sacerdote e ha spiegato come questa vocazione possa coesistere con il suo impegno in Libera, associazione che si definisce “apartitica” e “anticonfessionale”: la sua vita cristiana infatti si arricchisce confrontandosi con quella di altre persone ebree, islamiche o atee, che lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni. Questa varietà è un valore aggiunto all’ interno Libera e dovrebbe essere sempre considerata tale: “Guardiamoci, che bello! In questa stanza siamo tanti e siamo tutti diversi!”, ha esclamato Don Luigi sorridente. A chi gli chiedeva qual è lo scopo delle varie iniziative che Libera promuove e coordina, Don Ciotti ha risposto che è certamente l’ educare noi stessi alla “nostra responsabilità” e il diffondere questi valori tramite l’ istruzione pubblica perché, come disse Antonio Caponnetto: “La mafia teme la scuola più della giustizia. L'istruzione taglia l'erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Libera infatti, oltre a coordinare più di 1500 associazioni, porta avanti progetti in 4500 scuole d’ Italia ed è quindi in contatto con i giovani che, Don Ciotti ha precisato, prima di essere il futuro del nostro paese ne sono anzitutto il presente. Dopo un’ ampia parte dedicata  a questi temi, Don Luigi ha ricordato la sua esperienza all’ interno del “Gruppo Abele” (da lui stesso fondato nel 1965 a sostegno di persone in difficoltà a causa tossicodipendenze o disagi sociali) e ha sottolineato che le droghe e le nuove forme di dipendenze, come l’ uso smodato di internet o il gioco d’ azzardo, sono espressione di un malessere che non può e non deve essere sottovalutato.

domenica 5 febbraio 2012


I legami più difficili da spezzare, sono quelli che hanno inconsciamente posto le loro radici in fondo al cuore: estranei alla ragione, stretti in un abbraccio.

sabato 4 febbraio 2012




Ho esitato a trapassare
il velo della verità.
Consciamente abbandonata
nel sogno della tua perfezione.

domenica 8 gennaio 2012

Presepe Vivente Interattivo


C’ è una profonda differenza tra vivere il Presepe Vivente da spettatori o da personaggi, perché coloro che hanno dato vita, in questi giorni, agli abitanti di Betlemme o di Gerusalemme hanno cominciato il loro cammino verso la capanna, qualche mese fa, e come ogni viaggio che può definirsi tale, ci sono stati imprevisti, ripensamenti, scoperte. Ho cominciato la mia seconda avventura come popolana nel Presepe Vivente Interattivo tre anni dopo la prima volta, cresciuta, maturata ma, devo ammetterlo, con entusiasmo “timoroso”, per i molti impegni e per la compagnia con cui cominciavo quest’ esperienza. Non so bene cosa mi ha fatto trovare la forza di non mollare, di mantenere l’ impegno preso, forse il ricordo positivo dell’ edizione passata o forse quella forza che spinge a fare certe cose per un motivo che al momento ci sfugge ma che appare poi in tutta la sua chiarezza, e così è stato. Ho capito fin da subito che quest’ anno sarei necessariamente dovuta uscire dalla mia casetta di Betlemme, che Sarah (questo  è il mio nome ebraico) avrebbe dovuto fare  passi avanti, conoscere nuovi compagni di strada. Superato il blocco iniziale, mentre un po’ di tensione  infondo resta sempre, ho imparato ad esprimere un po’ meglio i miei pensieri, a leggere sui volti delle migliaia di persone che ho incontrato le loro attese, le delusioni, le domande non espresse. E’ incredibili la diversità delle reazioni che i tanti visitatori hanno avuto alle nostre domande: alcuni sono riusciti a guardarci in faccia e ci hanno parlato, mentre camminavano, altri invece non aspettavano altro che potersi fermare e porci, magari con sfida, domande insidiose, ma la maggior parte aveva voglia di entrare un mondo diverso, dove poter in un certo senso tornare ingenui e curiosi. Tra le tante parole dette, tra le tante storie sfiorate, voglio condividerne una particolare: la sera del 5 gennaio mi viene chiesto di cambiare postazione, accetto.
Per mia fortuna mi viene messa accanto Ester, molto più esperta e preparata di me, grazie alla quale posso entrate con facilità in contatto con quasi tutti i visitatori che arrivano, vista l’ ora tarda, a gruppi di dieci o quindi persone. La postazione ci aiuta, si tratta di una cantina arredata a casa, che attira  la curiosità di chi vi passa accanto, fin da subito vediamo tante persona sbucare dalla porticina, restare sull’ uscio ad osservare e commentare sotto voce: cogliamo l’ occasione per invitarli ad entrare e, se vogliono, a sedersi con noi. Riusciamo a parlare quasi con tutti ma resta ovviamente un certo distacco, anche perché siamo all’ inizio del percorso e la gente è ansiosa di proseguire. Ecco però che tra un’ ondata e un’ altra, si affacciano alla porta una giovane ragazza e una signora: a differenza degli altri, accettano subito e molto volentieri di sedersi un po’ con noi, sono loro a porre domanda, la ragazza ci guarda sorridente, profondamente interessata alle informazioni che le stiamo dando. Ripetiamo a tutti quelli che entrano (da un mezz’ ora buona ormai) di Joshua, di Miriam, di Joseph e di come sono arrivati in città, ma mentre racconto alle due donne questa solita storia, ogni parola acquista una sfumatura nuova, diversa, aggiungo dettagli, capisco che quello che sto dicendo ha davvero un valore per lei che mi guarda con occhi pieni di una curiosità quasi infantile che si mescola con la sensibilità e la serietà dell’ adulto. Il nostro incontro, il nostro confronto, perché questo è stato, è durato almeno tre minuti, cosa rara, e dopo averle detto quanto so, le ribadisco che io infondo non sono ancora stata a vedere quel bambino, e che magari: “Voi potente andare e…”, “E tornare a raccontare!” dice lei. Prima di andare ci chiede se può farsi una foto con noi, aderenti al nostro personaggio non cadiamo nella trappola, rispondiamo “foto? non so di cosa parli…”, “Voglio portare a casa il vostro ricordo” ci spiega, a questo punto, molto volentieri, accettiamo. E quando la vedo uscire dalla porta, penso che non sarò più qui quando avrà finito il giro e visto Joshua, il turno ormai è alla fine e non potrà veramente “tornare a raccontare” perché Sarah sarà tornata ad essere Irene,  il Presepe sarà chiuso  e la finzione avrà lasciato spazio alla realtà, ma forse c’ è qualcosa di questa magia che posso e devo portare con me…