venerdì 17 febbraio 2012

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione. (Gabriele D' Annunzio)


Commento
L' occasione per la composizione di questa poesia è offerta da un evento inatteso: il poeta è sorpreso, mentre si trova in una pineta, da uno scrocio di pioggia. D'Annunzio, tramite l' enigmatica figura di Ermione, introduce il lettore in un paesaggio che appare tanto realistico (per la minuziosa descrizione delle piante presenti) quanto trasfigurato. Fondamentale nella creazione di quest' atmosfera surreale è la struttura sintattica: vi è la netta prevalenza della paratassi per asintoto, la quale, insieme all' anafora di "e", dà l' idea dell' avvicendarsi serrato delle percezioni sensoriali ed emotive. I numerosi enjambement conferiscono musicalità e velocità al componimento che è caratterizzato da un linguaggio di registro medio, impreziosito da latinismi come "aulenti, silvani, cinerino", e spezzato in brevi ed incisive frasi. Da notare l' uso di figure retoriche tipiche del decadentismo come l' onomatopea "crociare" o le frequenti similitudini. Sono proprio questi numerosi paragoni "volto ebro...come una foglia, chiome...come le chiare ginestre, occhi...come palle, denti...come mandorl" e le più rare metafore "pino, mirto, stromenti sotto innumerevoli dita" a favorire la fusione uomo - natura. Nella poesia infatti trova la sua massima espressione il "panismo", presente già in altre poesie di D' Annunzio, e la metamorfosi dei due protagonisti avviene tramite la pioggi: prima essa baglia le loro mani e  loro visi, poi la sua continua caduta, espressa dall' anafora del verbo "piove", arriva a renderli creature "d' arborea vita viventi". Ammonendo Ermione a tacere e ascoltare, il poeta contemporaneamente ne descrive la trasfigurazione: essa è "quasi fatta virente" tanto è immersa nella natura. I due, attori e al tempo stesso spettatori di questa magia, avanzano insieme "or congiunti or disciolti" verso quell' ignoto assoluto ("chi sa dove! chi sa dove!") che i decadenti tanto cercavano. Le loro identità sono unite dal  "verde vigor rude", che sale sulle loro gambe, e dalla pioggia che fonde i loro corpi così come i loro spiriti. Il componimento si chiude ripentendo un gruppo di versi iniziali, quelli che più chiaramente esprimono l' effetto della pioggia estiva: ciò è segno che il poeta ha osservato il paesaggio, lo ha filtrato con la sua sensibilità e lo ha offerto al lettore. Ma dopo il viaggio ideale verso l' ignoto non gli resta che tornare alla "favola bella", fatta disillusioni e di speranze, da cui lui e Ermione sono partiti. 






Ovviamente tutto ciò è  una mia liberissima (e quindi opinabilissima) interpretazione.

1 commento:

  1. Ciao Irene, scusa se ti disturbo. Non ci conosciamo personalmente. Ho visto il tuo blog http://irenebertelloni.blogspot.it/2012/02/la-pioggia-nel-pineto.html e avrei bisogno di sapere se l'acquarello che hai postato nella recensione de "la pioggia nel pineto" è tuo o di chi altro... Vorrei capire se fosse possibile utilizzarlo per la copertina del mio nuovo libro. Fammi sapere, nel frattempo scusa per il disturbo.
    Laerte Neri

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