mercoledì 2 novembre 2011

Alluvione


Quando nei giorni scorsi pensavo a quanto è successo ad Aulla, mi limitavo a costruire nella mia mente una sequenza di immagini viste in televisione, scorci, spezzoni, frammenti di una realtà trasformata, ma ciò che veramente fa capire cosa è accaduto, è stato scendere dal treno e cominciare a sentire il fango sotto i piedi. Ancora lontana dal centro mi infilo gli stivali, mi guardo attorno, la prima mattina di novembre è resa tiepida dal sole ma opaca dalle polveri che si diffondono dalle strade. La città è un cantiere aperto, ovunque ruspe, camion, volontari con pale e caschetti.  Sui muri resta il segno di dove è arrivata l’ acqua, metri e metri sopra l’ argine di un Magra che oggi è ridotto ad un fiumiciattolo, dentro alle case il fango impasta i ricordi e sommerge la quotidianità. Aiuto a togliere il fango da un garage, portiamo via carriole piene di cassette, scarpe,  giocattoli, tutto quello che emerge da una coltre di melma che arriva alle caviglie. Sui volti della gente la tristezza per questo fango che sembra non finire mai, che occupa ogni centimetro del pavimento della scuola elementare, irriconoscibile, tanto da apparire abbandonata da anni, se non fosse per i pennarelli che ogni tanto ci capitano tra le mani a ricordarci come solamente pochi giorni fa, questa città aveva un altro volto. L’ acqua ha agito come un evento inatteso, che arriva all’ improvviso travolgendo tutto ciò che da tempo campeggia nella nostra mente, spazza via le cose troppo vecchie e fragili, confonde la verità, nasconde le certezze.  La natura, così come la vita, non hanno i nostri ritmi e sono pronte a cambiare quando noi stiamo ancora cercando di apprezzare ciò che abbiamo. Ma se si decide di non lasciarsi portare via dalla corrente, l’ unica cosa che si può fare è cercare di ripartire, ritrovando il pavimento che, sotto al fango, c’ è ancora, ripulendo le piazze per nuove giornate, facendo spazio nella testa per nuove emozioni, da mettere accanto a quanto ha resistito all’ alluvione.  Ciò che mi porto dentro da questa giornata ad Aulla è l’ assenza di parole, non posso dire silenzio perché la mancanza dei rumori del  traffico era compensato dal fragore delle macchine, ma il lavorare intensamente con una persona sconosciuta e sentire che in quel momento non c’ è bisogno di dire nulla. Tornata a casa però mi sono venute in mente le parole di Roberto Saviano, che, parlando di cosa vuol dire scrivere, ha detto: “Tutto quello che vivi lo vivi perché pensi possa arrivare un giorno il tempo di raccontarlo”. Sento profondamente mie queste parole, per come sottolineano che prima di scrivere bisogna fare esperienze e  per come suggeriscono che raccontare è il primo passo per non dimenticare. 

2 commenti:

  1. Complimenti Irene! Scrivi veramente bene! Questo tuo racconto tocca l'anima e sono contenta che ci sia qualcuno che aiuti le persone in difficoltà! Brava! Continua così :).

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