domenica 4 dicembre 2011

The eye of the Mind (Riflessioni a tempo perso)


Dopo aver superato gli ostacoli letterari imposti dalla scuola, visitato Aci Trezza e "maledetto" Giovanni Verga, ho deciso di dedicarmi ad un libro a mia scelta. Ho deciso di dedicarmi ad uno di quelli che si incrociano con lo sguardo durante le giornate, li intravedi sulle mensole, nella loro posizione tristemente ornamentale, e accade che alcuni di loro emanino una fascino inspiegabile, che prima o poi ti porta ad aprirli. E’ accaduto così per Cecità di Josè Saramago, un “romanzo importante”, un libro che a detta di molti ha lasciato un segno nella letteratura contemporanea: consapevole di andare incontro ad un opera dal contenuto piuttosto impegnativo e con una trama spesso caratterizzata da crudezza e violenza, ho iniziato la lettura, fiduciosa che l’ aspetto poetico e allegorico mi avrebbero aiutato a sopportare il peso del racconto. Per ora le mie aspettative si stanno rivelando esatte, il libro è certamente impegnativo, ma Saramago riesce, con un qualcosa di magico, a tirare di forza il lettore nella storia. Non voglio però soffermarmi sul contenuto del libro piuttosto su una frase che prelude al romanzo: “Se puoi vedere guarda, se puoi guardare osserva”. Nasce da questo spunto la riflessione che espongo in queste righe, considerando che il libro parla della perdita della vista, mi  è parso quasi naturale intendere che il “vedere” di cui si parla trascenda il suo solito significato per guidare il lettore nel comprendere come spesso il mondo manda segnali che non si possono captare come si fa con un immagine. Come ha detto qualcuno prima di me “Non si vede bene che col cuore, l’ essenziale è invisibile agli occhi”, ma cos’ è questo essenziale? L’ essenziale è quel qualcosa che arriva dritto allo stomaco, è una vibrazione che non può essere mediata se non con l’ emozione. Abbiamo gli stessi amici da anni, ma quanto spesso accade di non apprezzarli veramente, talvolta è difficile riscoprire quel legame che ci unisce, perché nascosto dal tempo, dal rancore, dall’ abitudine. Per proteggerci da qualcosa o qualcuno che, sappiamo, ci farà stare male, non lo guardiamo negli occhi, ma nell’ attimo in cui abbassiamo le difese, quella stessa vibrazione che ce n’ ha fatto innamorare, ci rimbomba dentro e non possiamo far finta che di non averla sentita. Succede lo stesso quando parliamo del passato, ripercorriamo episodi a cui non abbiamo assistito e non è facile immaginare quando e come siano accaduti perché non ne abbiamo avuto esperienza diretta, ma basta trovare una foto che ritragga la nostra città, distrutta dai bombardamenti, in cui però sullo sfondo intravediamo un edificio, un monte, un monumento noto, per capire come quell’ oggetto c’ era prima e c’ è ancora, eravamo noi a non essercene accorti. La realtà che si “vede” in questo senso non conosce tempo, è quella creata dalle emozioni delle persone di ogni epoca: le poesie, le storie, le canzoni, i quadri emanano sensazioni sempre vive e moderne, che fanno parte di questo “altro mondo”, una fonte da cui tutti possiamo attingere, e che è inesauribile, perché continuamente alimentata da chi riesce a “guardare” alla realtà cogliendone i legami, da chi la “osserva” non limitandosi così più a vivere, ma a far risuonare se stesso nell’ arte.

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